DI LÀ DA L'AGHE, SPILIMBERGO di Gianni Colledani
Su una pietra d’angolo di casera Gjovét, sul Monte Rossa, in Comune di Vito d’Asio, è inciso in bella evidenza il marchio CX, finora passato inosservato e perciò mai censito. Esso ci porta molto indietro nel tempo, all’epoca del dominio della Serenissima Repubblica di Venezia in Friuli, cominciato nel 1420.
Tale sigla appare anche in Carnia, in Cadore, sull’altipiano di Asiago, sul Cansiglio e in Istria, in tanti àmbiti montani della terra di San Marco ricchi di pascoli e di boschi.
CX sta per Consiglio dei Dieci.
Esso era uno dei massimi organi della Dominante, attivo dal 1310 al 1797, anno dell’arrivo di Napoleone. Era composto da dieci membri, eletti ogni anno dal Senato, scelti tra i cittadini di comprovata rettitudine e saggezza, di età superiore ai quarant’anni.
I Dieci si distinguevano dai comuni senatori perché indossavano un basso cappello nero e una fascia nera sulla toga rossa.
L’attività del CX, considerato come supremo organo di polizia, si esplicava in tre direzioni: tranquillità e prosperità dello Stato, garanzia dei cittadini e tutela del buon costume. Perseguiva con ogni mezzo le trame eversive, interne ed esterne, tese a destabilizzare la Repubblica. Le indagini erano condotte con estremo scrupolo o sulla base di informazioni segrete o di denunce anonime raccolte nelle famose boche de leon, incassate nei muri e ancora oggi visibili in città.
I metodi operativi erano piuttosto sbrigativi ed efficaci, e non raramente si ricorreva alla tortura. Non era previsto che il reo potesse avvalersi della facoltà di non rispondere. Tutti i processi erano brevi. In caso di condanna l’esecuzione era rapida e segreta, tramite decapitazione, impiccagione o annegamento notturno in laguna, lontano da occhi indiscreti.
A garanzia della sua autonomia il CX disponeva di una cassa propria per le spese, di cui non doveva rendere conto a nessuno. Tra queste rientravano quelle per assoldare spioni e sicari.
Va da sé che i Dieci erano potentissimi e temutissimi, ma non incontrollabili, perché l’avogador de Comun poteva accusare chiunque di essi avesse operato illegalmente.
Naturalmente, a nessuno dei Dieci venne mai in testa di farsi una legge ad personam.
Oltre che sulle miniere e sui brogli elettorali il Consiglio vegliava con il massimo rigore sull’arte vetraria, così importante nell’industria e nel commercio da essere confinata nell’isola di Murano per tutelarne meglio i segreti; infatti, era prevista la pena di morte per i vetrai che fossero scappati all’estero. Ma specialmente vegliava sui boschi il cui legname era vitale e perciò preziosissimo per i bisogni della flotta commerciale e bellica.
Il marchio CX era un segno di confinazione atto a delimitare pascoli negli alpeggi, ma soprattutto boschi, banditi a uso dell’arsenale e della città, ben forniti di larici, roveri e castagni ricchi di tannino, per le palafitte e le briccole, abeti e faggi per il fasciame delle navi e frassini, legno più leggero ed elastico, per i remi delle galere.
Talvolta i boschi di soli frassini erano chiamati anche “boschi da remi”. Infatti si andava per mare a vela e a remi, i motori non erano ancora stati inventati.
Chiaramente il taglio abusivo degli alberi e il pascolo non autorizzato comportava la pena di morte o la condanna al remo. I più fortunati, cioè quelli che avevano santoli in paradiso e beni al sole, se la cavavano con una fortissima ammenda.
A evitare aspri, lunghi e costosi contenziosi su questa linea di confine, la Dominante creò una “zona cuscinetto”, una “terra di nessuno” larga 500 passi, cioè “Mezzo Miglio Veneto” dove era assolutamente vietato l’accesso a pastori, boscaioli e carbonai. Il toponimo è ben presente in varie località, esistono infatti i Mezzo Miglio di Farra d’Alpago, Tambre, Fregona e Polcenigo.
Il legname del Monte Rossa veniva fatto scendere dalle convalli attraverso scorrevoli risine e poi fluitato grazie ad apposite stue lungo il Rio Comugna che confluisce nell’Arzino appena sotto San Francesco, Arzino che a sua volta si immette nel Tagliamento prima del ponte di Pinzano. I tronchi erano poi imbrigliati a mo’ di zattera e condotti dai menaus fino a Latisana e al mare. Qui il legname veniva caricato su apposite imbarcazioni o più semplicemente rimorchiato fino a Venezia nel bacino dell’arsenale. Il legname da brucio invece andava ad alimentare caminetti, stufe, forge e soprattutto le fornaci del vetro di Murano.
I boschi dunque erano vitali per produrre scafi in arsenale, per veleggiare più veloci e dominare mari e mercati, in ultima analisi per alimentare il trafego, perché senza traffico niente palanche.
Il trafego delle perline di vetro, del vino, dello zucchero (la cosiddetta “polvere di Cipro”) e soprattutto delle spezie, coriandolo, chiodi di garofano, cannella e in particolare zenzero e pepe, rendeva Venezia ricchissima e invidiata. Basti un dato: dalla metà del ’400 al ’600 vi giungevano annualmente cinquemila tonnellate di spezie, trasportate da una cinquantina di galere e da circa tremila navi a vela.
I magazzini pubblici e privati, ricolmi di ogni ben di Dio, arricchivano una città che traeva lucro da ogni porto. Spezie pensate dai ricchi come migliorativo universale per tutti i cibi e tutti i farmaci; i villani invece si accontentavano dell’aglio cui la tradizione assegnava virtù altrettanto universali. Spezie essenziali per conservare le carni suine durante l’inverno. Infatti speziare, salare, seccare e affumicare sono tutte tecniche suggerite dalla paura della fame. E la fame, come si sa, genera spesso sogni enogastronomici che si collocano idealmente nel paese di cuccagna dove “chi men lavora più magna”, e in cui fiumi di vino scorrono tra montagne di formaggio e si legano gli asini con le salsicce.
Venezia ingoiava quantità enormi di legname che, nell’immediato, bisognava andare a prendere là dove c’era, e per il futuro vincolare, bandendo preventivamente enormi territori al fine di garantirsi un continuo approvvigionamento per mantenere attivo l’arsenale e vitale il trafego, e sempre all’erta la marina da guerra. Non è azzardato ipotizzare che il 7 ottobre 1571, nella gloriosa giornata di Lepanto, almeno un paio delle 207 galere fossero imbastite con il legname proveniente dalla Val d’Arzino.
In casera Gjovét il marchio CX resta un fossile storico oggi, ma ben vivo e temuto nel passato, un segno che stava lì a rivendicare la proprietà assoluta della Serenissima, una delimitazione tra le logiche delle civiltà di terra, tradizionali e conservatrici e quelle delle civiltà di mare, dinamiche e innovatrici, in ultima analisi un capitolo dell’eterna sfida tra Sparta e Atene, Roma e Cartagine.
Era un’imposizione pesante che ricadeva sulle spalle dei bonari e rassegnati friulani che i documenti veneziani, non a caso, definivano sempre come bonos et fideles servitores nostros. Veneziani gente di mare che prende e che va, che “non ara, non semina e non vendemmia”, ma che per campare ha comunque bisogno di pane e di vino, di latte e di lana e, naturalmente di boschi per permettere ai vetrai di Murano di arroventare le fornaci e ai marangoni dell’arsenale di intessere gli scafi. A maggior gloria della Serenissima Repubblica di Venezia e del suo trafego.