DI LÀ DA L'AGHE, SEQUALS di Leonardo Zecchinon
(seconda parte)
Che ci si trovi in Friuli o in altre regioni italiane, se si nomina Sequals scatta automatica l’associazione con “il paese di Primo Carnera”. Certamente è motivo d’orgoglio per chi vi è nato, ma senza nulla togliere alla memoria del campione, crediamo che Sequals dovrebbe essere ricordata anche come “paese del mosaico”. Infatti ha dato i natali ad alcuni artigiani che con grande inventiva e abilità manuale sono riusciti a dare un volto nuovo a quest’arte antica. Fra questi emerge la figura di Gian Domenico Facchina.
Nasce a Sequals nel 1826. A 17 anni è a Trieste, presso uno zio. Garzone di giorno, studente di disegno nel tempo libero. Partecipa al restauro dei mosaici della cattedrale di San Giusto a Trieste: il contatto con quest’arte è per lui un vero colpo di fulmine. A Venezia, grazie a un altro zio, mons. Giuseppe Facchina, canonico della basilica di San Marco, viene assunto come apprendista da due artisti romani per il restauro dei mosaici della basilica. Poi è ad Aquileia, presso la basilica patriarcale, anche qui per un restauro: quello del più antico e più grande mosaico pavimentale di tutto l’occidente. E quindi a Villa Vicentina, nel palazzo della principessa Baciocchi, nipote di Napoleone Bonaparte.
Qui lo raggiunge la notizia della scoperta di antichi mosaici romani nel sud della Francia, in Provenza e della ricerca di tecnici restauratori. Nel 1847 Facchina è a Montpellier, dove con la sua rivoluzionaria tecnica sbalordisce i sovrintendenti ai lavori di recupero. È doveroso precisare che sino a quegli anni il restauro di un’opera musiva consisteva nella sua distruzione e successiva ricomposizione. La nuova tecnica viene definita dallo stesso Facchina “estrazione e posa senza alterazione di mosaici antichi” e descritta nei particolari in sede di brevetto presso l’apposito istituto parigino nel 1858. In pratica il sistema consisteva nell’incollare sulla superficie del vecchio mosaico uno spesso strato di cartone o di garza; una volta asciugato il collante, il mosaico veniva strappato dalla sua sede e posato a terra. Quindi si procedeva alla completa pulizia dell’opera, sia del cartone o garza, che del collante. A questo punto venivano inserite o sostituite le tessere mancanti o danneggiate. L’esito ottenuto era proprio quello di una ricomposizione dell’opera antica senza alterarla. Questo metodo è usato ancor oggi perché è ritenuto il più efficace e il più fedele nel risultato finale.
Facchina operò restauri a Nîmes, a Lillebonne, a Montpellier e a Bézier, solo per citare le località più importanti. In seguito a questa rivoluzione nel campo del restauro, nella Francia meridionale si registra una forte presenza di terrazzieri e mosaicisti per lo più sequalsesi. Rinasce la moda del pavimento in terrazzo con inserimenti di ornati in mosaico.
Facchina, oltre che un grande mosaicista, è anche un accorto imprenditore. Si rende conto che il mosaico, con la sua tecnica di applicazione che consiste nel comporlo sul posto incollando le tessere ad una ad una, è eccessivamente costoso. Mette allora a punto un nuovo sistema, che deriva da quello del restauro. Il mosaico viene eseguito non più in cantiere ma in laboratorio, fissando con un blando collante idrosolubile le tessere a rovescio su fogli quadrati di carta, con il lato di 50 cm. I fogli numerati vengono spediti al committente, dove un tecnico del Facchina provvede a comporli e a fissarli sulla superficie di destinazione, coperta da un letto di malta. La tecnica a rovescio si diffonde anche a Venezia, appresa e utilizzata ben presto anche da Salviati, noto concorrente di Facchina.
È doveroso ora fare una riflessione: quali sono i meriti da accreditare al grande mosaicista sequalsese? Dopo il periodo paleocristiano, il mosaico resta un lusso per pochi e quest’arte finisce con il languire per secoli. Facchina con il sistema a rovescio taglia drasticamente i costi, accorcia i tempi di esecuzione e amplia a dismisura il numero dei potenziali clienti interessati.
Nel 1860 Facchina si trasferì a Parigi. L’imperatore Napoleone III, uscito miracolosamente illeso da un attentato dinamitardo perpetrato ad opera del nostro Felice Orsini, volle celebrare lo scampato pericolo con la costruzione di un nuovo teatro nella capitale e ne affidò il progetto all’architetto Charles Garnier. Dopo 15 anni di lavoro nacque il nuovo teatro dell’Opera di Parigi, ritenuto all’avanguardia per le soluzioni tecniche adottate dal progettista. Il Garnier, innamorato a livello artistico dell’Italia e della Grecia, decise che avrebbe rivestito buona parte del suo teatro con una novità assoluta per Parigi: il mosaico. Infatti così scriveva: “Con l’applicazione del mosaico nei monumenti e palazzi più importanti … la città intera avrebbe come un riflesso armonioso di seta e d’oro …”. Questo però, vista la situazione, sembrava un sogno irrealizzabile. Infatti Garnier, dopo aver interpellato alcune imprese specializzate di Roma, si rese conto che sia i costi (3.ooo franchi francesi dell’epoca al metro quadrato) sia i tempi di esecuzione (almeno 10 anni!) erano improponibili per l’imperatore.
Nel 1867, all’Esposizione universale di Parigi, accade un fatto che cambia tutto: Garnier conosce Facchina, e questo è un incontro fortunato e importante per entrambi. Facchina è accompagnato da Giacomo Mazzioli e Angelo Del Turco, tutti di Sequals. Garnier spiega a Facchina qual è il suo problema con il rivestimento del teatro nuovo e Facchina gli offre la soluzione su di un piatto d’argento, rivelandogli la sua nuova tecnica a rovescio di applicazione del mosaico. L’architetto non sta nella pelle, ma vuole prima vederci chiaro. Assegna ai mosaicisti friulani alcuni lavori presso amici e conoscenti per avere un effettivo riscontro sia tecnico che finanziario in merito al metodo di lavoro di Facchina. Considerato l’esito entusiasmante del test, Garnier ottiene da Parigi l’autorizzazione all’esecuzione dei mosaici pavimentali del teatro. Ultimati i lavori, la bellezza e l’eleganza dei nuovi pavimenti è tale che il plauso di critica e pubblico è pressoché unanime. Si passa perciò al problema più grosso e impegnativo: il rivestimento della volta del foyer. A fronte dei 3.000 franchi francesi al metro quadrato richiesti dalle imprese romane, il preventivo di Facchina è di 162 franchi, quello di Mazzioli è di 210. Vince l’appalto Facchina, che eseguirà la copertura della volta centrale, mentre Mazzioli coprirà le due cupole minori, allo stesso prezzo di Facchina, come previsto dalla normativa del contratto d’appalto. Facchina, che dispone nel suo atelier parigino di circa 120 mosaicisti, fra cui molte donne, realizza in pochi mesi 300 metri quadrati di mosaico con strumenti musicali, animali, maschere, arabeschi e altri ornamenti. Inoltre affida a un suo concorrente, il veneziano Salviati, l’esecuzione dei 4 pannelli raffiguranti personaggi mitologici. Considerata l’eccellenza dei risultati, Garnier vuole che a immortalare l’opera ci sia anche un angelo mosaicista, con la martellina in una mano e una tessera musiva nell’altra.
Il nuovo teatro Opera-Garnier, così è chiamato tutt'oggi, viene inaugurato il 5 gennaio 1875: è la festa parigina più spettacolare di fine secolo! Il successo e la fama del Facchina si espandono rapidamente e le commesse di lavoro arrivano da mezzo mondo. Oltre al laboratorio in rue Legendre a Parigi, Facchina affitta a Venezia il palazzo Labia. Ne adibisce il piano terra a deposito di materiali e sala di lavoro per i trinciatori. Le sale dei piani superiori, affrescate dal Tiepolo, sono dedicate a mosaicisti e disegnatori. La direzione artistica di palazzo Labia viene affidata ad Antonio Fabris, di Sequals. In Calle Lunga Facchina acquista una fornace, della quale affiderà la direzione al tecnico Angelo Orsoni, che riuscirà in breve a predisporre una produzione di smalti di addirittura 12.000 colori diversi! Alcuni anni dopo, quando decise di stabilirsi definitivamente a Parigi, Facchina lasciò Venezia ricompensando il suo prestigioso e fedele tecnico Orsoni con un dono inaspettato: gli regalò l’intera fornace con annessi e connessi!
Dal laboratorio parigino di Facchina uscirono migliaia di opere, destinate alla decorazione dei più celebri palazzi d’Europa, America, Africa e Asia (a Londra, Madrid, Barcellona, L’Aia, Chicago, New York, Gerusalemme, Pietroburgo, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Algeri e Kyoto, solo per citare alcune delle più importanti città).
In Francia, presso il santuario di Lourdes, decorò le 15 cappelle della basilica con scene bibliche e storiche.
Per quanto concerne Sequals, Facchina non se ne scordò. Nel 1888 donò 8 medaglioni (le croci apostoliche) alla chiesa parrocchiale di S. Andrea. Nel 1889 fece ristrutturare la gradinata di accesso alla parrocchiale, composta da 81 gradini in gruppi di 3, intervallati da 27 ripiani in ciottolato. Nel 1901 creò a Parigi il nuovo pavimento del coro, con un elegante motivo a doppia treccia, che fece poi installare ai suoi tecnici.
Per quanto riguarda la famiglia, Facchina aveva sposato nel 1873 Antonietta Della Savia (24 anni più giovane di lui). Dal matrimonio erano nati 3 figli e una figlia, la quale sposò un mosaicista francese che lavorava nell’impresa di famiglia, Auguste Biret. Il nostro Gian Domenico Facchina ormai anziano designò come successori nella sua attività il figlio maggiore Roberto e il genero Biret.
Facchina muore nel 1903 e riposa al Père Lachaise, il cimitero degli artisti di Parigi. Il figlio Roberto e il genero Biret non sono della sua pasta; incominciano a litigare e in breve spezzano in due l’attività di Rue Legendre. L’epilogo è davvero sconsolante: nel giro di pochi anni il laboratorio musivo più prestigioso al mondo chiuderà i battenti e, addirittura, non resterà alcuna traccia della maggior parte dei suoi documenti.
Pochi anni dopo la morte di Facchina, venne costituita in modo “informale” la prima scuola di mosaico da parte del maestro Andrea Avon, nel laboratorio che l’artigiano aveva trasferito da Venezia a Solimbergo, frazione di Sequals. Era l’anno 1907. Il laboratorio sarebbe rimasto in funzione fino al 1917.
Il 18 settembre 1920, con atto del notaio Fabrici Daniele, si costituì a Sequals la Società Anonima Cooperativa Mosaicisti del Friuli, ad opera di Pellarin Pietro, Odorico Vincenzo, Zanier Giovanni, Segnafiori Ferdinando (tutti possidenti e imprenditori del settore mosaico-terrazzo alla veneziana), del maestro Avon Andrea, di Grandis dr. Ruggero (segretario comunale di Sequals), di Carelli Mauro (esercente del Bachero di Sequals), di Zanini Lodovico (direttore didattico), di Tamai rag. Antonio (gerente della Banca di Spilimbergo), di Cantarutti Ezio (sindaco di Spilimbergo) e altri. La Società, ha sede nella cosiddetta Cjasa di Gheta (di proprietà della famiglia D’Agostin), dove al primo piano c’è il laboratorio, nella Sala di Pesât. In questa operazione è fondamentale l’appoggio dell’Umanitaria di Milano, una associazione che lotta contro l’analfabetismo e la disoccupazione giovanile. La nascita della scuola di mosaico a Sequals è avvenuta sotto i migliori auspici, con l’intervento di personalità di spicco e dei primari mosaicisti della piazza, animati dalle più buone intenzioni. Tra i promotori sequalsesi dell’iniziativa e l’Umanitaria tuttavia ben presto emergono attriti, dubbi, incomprensioni e gelosie. E così nel giro di un paio d’anni la scuola di mosaico chiude i battenti a Sequals (ufficialmente per mancanza di commesse di lavoro) per aprire il 3 gennaio 1922 a Spilimbergo, con un contributo di £. 10.000 dell’Umanitaria di Milano. Preferiamo non esprimere alcun commento su questi fatti, diciamo solo che Spilimbergo in confronto a Sequals era logisticamente preferibile, grazie a una sede ben più spaziosa, alla stazione ferroviaria e altro.
La nuova scuola, con sede nella cosiddetta ex-Caserma Bevilacqua, viene intitolata a Irene di Spilimbergo, la contessa-pittrice allieva del Tiziano, morta di malattia a soli 19 anni (1559). Andrea Avon è il primo insegnante di tecnica musiva della scuola spilimberghese. Nel 1923, colpito da una paralisi al braccio, viene sostituito per un breve periodo dal figlio Felice e quindi dal figlio Gino, dotato di forte personalità.
La Scuola Mosaicisti del Friuli al giorno d’oggi ha sede in via Corridoni 6, a Spilimbergo. E’ una scuola professionale con funzioni didattiche, promozionali e produttive. Gode di fama, credito e prestigio praticamente in tutto il mondo. Senza dubbio meritati, considerati i risultati conseguiti.
Si può dire che, al di là dell’interesse, del guadagno o delle opportunità, l’uomo tende a fare, a ogni latitudine, cose che restino cercando in questo modo di ritagliarsi una piccola fetta d’immortalità. Infatti non si costruisce nel bronzo, non si incide nel marmo e nella pietra senza avere l’ambizione di rivolgersi al futuro. E i nostri mosaicisti quest’ambizione ce l’avevano. Le tessere policrome della loro arte sembrano immuni dall’usura del tempo che tutto divora. In questo senso un grande pittore del Rinascimento, famoso ritrattista della nobiltà di Firenze, Domenico Ghirlandaio, definì il mosaico come “una pittura per l’eternità”.