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25 Marzo 2019

Ovidio Bernes

Uomo GIUSTO di Gemma Bernes

Nel Dizionario biografico dei friulani, Nuovo Liruti, alla voce “Bernes Ovidio (1922 – 2006) ATLETA, INSEGNANTE, ALLENATORE” a firma Paolo Medeossi, si legge: “Animato da profonda spiritualità e rigore morale, generoso, schivo, antepose nello sport e nella vita l’uomo al risultato.” Queste parole definiscono sicuramente l’essenza profonda di Ovidio, i tratti fondamentali e irrinunciabili del suo sentire e del suo agire. Possedeva un naturale talento per le relazioni umane, dedicandosi con passione al prossimo, investendo nel mondo giovanile della scuola, dello sport e dell’associazionismo le proprie energie. Sua madre, Anna Maria Matcovich, raccontava che Ovidio, fin da bambino, era dotato di grande vitalità e di un talento motorio particolare. Alunno delle scuole elementari, amava partecipare alle competizioni che spontaneamente i giovani di Visignano d’Istria (oggi Croazia) organizzavano, fossero campestri, partite di calcio e pallacanestro o gare di atletica. Un gustoso aneddoto, racconta che Anna Maria si era fatta promettere da Ovidio di trascorrere il pomeriggio a studiare e per essere certa di questo, gli aveva fatto lasciare le scarpe fuori dalla porta della sua camera. Non aveva perciò creduto alla vicina, incontrata sull’uscio di casa, la quale assicurava che Ovidio aveva appena vinto una corsa in paese. Era certa che ci fosse un errore tanto più che le scarpe erano ancora lì, fuori dalla porta. Solo aprendola, quella porta, aveva capito che il figlio, uscendo dalla finestrella sui tetti, con le pantofole ai piedi, aveva risposto al suo bisogno di correre, di stare con gli amici, di dare sfogo al suo innato dinamismo nella pineta, tra le doline. Ovidio aveva solo due anni quando rimase orfano. Suo padre era tornato malato dal fronte russo della Grande Guerra e prima di morire aveva detto ad Annamaria: “Fa che Ovidio diventi un uomo!”. Ecco quindi la necessità di trasferirsi a Pisino perché potesse studiare al Regio Liceo Scientifico “Carli”. Qui cominciò a dedicarsi con successo al gioco del calcio e contestualmente all’atletica. A Udine nel ’41 con un paio di scarpette chiodate, avute in prestito dagli amici, corse i 110 ostacoli; nel ’42 ripeté la gara con un 16”2 e saltò in alto m 1,75. Nel 1942 si iscrisse alla facoltà di Scienze Politiche di Trieste. Nel mondo del calcio regionale si cominciava a parlare di lui e ben presto venne tesserato per la squadra di Isola d’Istria, l’Ampelea. Stupì tutti per l’elevazione, lo scatto, la potente progressione. Nelle 6 presenze della stagione realizzò 7 reti, un vero successo che aveva acceso molte aspettative; dovette invece, di lì a poco, partire per il Corso allievi ufficiali alpini. Fu inviato sul fronte francese, poi a Cremona dove visse esperienze di guerra dolorosissime e successivamente, con il suo battaglione, fu di stanza a Cesena. Giocò alcune partite con la squadra cittadina che disputava il torneo Alta Italia. Durante la sua permanenza a Gravellona Toce, nell’ultima fase della guerra, rifiutandosi di eseguire un ordine dei superiori, rischiò di essere fucilato. Aiutato dalle suore dell’asilo locale dove andava a far giocare e cantare i bambini e da Suor Rachele Bernardis di Lavariano, riuscì a fuggire e successivamente, grazie alla conoscenza della lingua tedesca, si sottrasse all’arresto da parte di un maggiore della Gestapo. Ovidio, dopo un ulteriore periodo durissimo fatto di stenti, sofferenze e privazioni, riuscì ad incontrare sua madre a Trento e non tornò più in Istria fino al 1946 quando, in un meeting di atletica a Pola, si classificò al 3° posto nel salto in alto con m 1,85. Riprese gli studi a Trieste dove si laureò nel ’47; cominciò a insegnare con qualche supplenza e decise di dedicarsi seriamente all’atletica leggera. Nel 1948 a Torino vinse con m 1,88 la gara di salto in alto ai campionati universitari. Per meglio affrontare le spese universitarie era comunque tornato ancora al gioco del calcio con la squadra del Gravellona Toce. In quattro stagioni segnò 54 reti. Nel 1949 fu nuovamente campione italiano di salto in alto e proprio in quel periodo, divenuto profugo insieme alla madre, lasciò definitivamente l’Istria e si stabilì a Brazzacco, in Friuli. Cominciava ad occuparsi in modo sempre più serio di insegnamento e pedagogia, collaborando con la Scuola editrice di Brescia e stringendo una solidissima amicizia con il direttore di questa, Vittorino Chizzolini, pioniere del missionariato laico e del volontariato internazionale.
Durante un convegno a Piacenza conobbe Anna Baldini, giovanissima maestra e nel febbraio del 1950 si sposarono per risiedere in Friuli. Ottenne la cattedra dell’insegnamento di educazione fisica presso l’I.T.I. “A. Malignani” di Udine, avendo conseguito il diploma I.S.E.F. presso l’ateneo bresciano. Dotato di una eccezionale creatività riusciva a raggiungere risultati sorprendenti, anche con risorse minime. Ho trovato in un quaderno di appunti di Ovidio questa memoria, che sembra rendere perfettamente lo spirito pionieristico e frugale che lo ha animato in tutta la sua vita. Scriveva così: “Incaricato di una supplenza di educazione fisica al liceo G. Rinaldo Carli, avevo organizzato una trasferta ad Albona per far disputare una partita di pallacanestro agli studenti. Partiti con l’autocorriera da Pisino avevamo dovuto poi proseguire a piedi per tre chilometri per raggiungere Pozzo Littorio, dove si trovava il campo di gioco, nei pressi della miniera. Il maltempo aveva fatto rinviare l’incontro di mezz’ora, anche perché i tabelloni erano umidi e deviavano i rimbalzi dei tiri. Abbiamo vinto con il punteggio di 39 a 15. Ritornati a piedi ad Albona, abbiamo perso la coincidenza per Pisino e dopo aver consumato qualcosa in un locale, abbiamo trovato rifugio sotto la loggia. Nel frattempo si era alzata la bora e così abbiamo trovato ospitalità nel forno di Albona, dove il proprietario ci ha accolto con la sua umanità e ci ha concesso di dormire sui sacchi di farina. Siamo tornati a Pisino con la corriera del mattino successivo, stanchi ma contenti”. Nell’ambito scolastico del Friuli del dopoguerra, a contatto con i giovani, attraverso l’avvincente offerta educativa dei valori sportivi, Ovidio aveva trovato sicuramente il giusto senso della propria vita professionale. Vi si dedicò con immensa passione, riuscendo ad avvicinare un grande numero di alunni del biennio e facendo ottenere a molti di loro significativi risultati. Convinto assertore del valore della pratica multidisciplinare sia individuale che di squadra iniziò l’attività di allenatore che lo impegnò fino alla fine della sua carriera. Merita ricordare alcune realtà alle quali si dedicò appassionatamente quali la Polisportiva Friuli, l’A.S.U., il C.S.I., nonché l’attività di coordinamento dei Centri C.O.N.I. e di tecnico della federazione, quella di preparatore atletico della Pallacanestro Snaidero, l’insegnamento dell’educazione fisica in seminario. Nel 1968, divenuto fraterno amico del prof. Metod Klemenc di Celje (Slovenia) accompagnò la squadra dei giovani atleti udinesi alla prima edizione dell’Olympiade de la Jeunesse, dando inizio ad una lunga collaborazione per la realizzazione dei giochi internazionali. Tornando alla sua attività di atleta va ricordato che detenne per cinque anni consecutivi il titolo di campione giuliano nel salto in alto. Il 30 giugno 1951 a Milano saltò
m 1.90 che resterà il suo primato personale nell’alto, oltrepassando l’asticella con un impeccabile stile Horine. Gli vennero assegnati molti premi e riconoscimenti; tra questi la stella al merito del CONI, la cittadinanza onoraria di Ampezzo Carnico per la realizzazione dei campus estivi per studenti-atleti e a un anno dalla sua morte, l’intitolazione del Palaindoor di atletica leggera a Paderno zona sportiva di Udine. Il 7 ottobre 2018 la Comunità Cristiana di S. Domenico gli ha dedicato un albero di ulivo, riconoscendolo “UOMO GIUSTO”. Nel dizionario biografico dei friulani si legge ancora che attraverso l’attività sportiva Ovidio intendeva divulgare anche il suo credo religioso e avvincere i ragazzi cantando, suonando e recitando versi, il che gli valse l’affettuoso appellativo di ‘poeta’. Merita dunque ricordare anche questo aspetto del suo animo, attraverso la lettura di una poesia che aveva scritto in un suo viaggio nella terra natale, terra amatissima, lasciata da esule, ma ricordata sempre quale luogo di felicità e bellezza.

ONDA DEL MIO MARE
Da Capodistria a Promontore l’onda corre
per portare il saluto dei fratelli ai fratelli;
a Venezia alfin riposa, per tornare umida messaggera
alle rocce di San Giusto.
Viene e va, così…….anche domani e sempre.
Limpida e cristallina, di giorno
a modificare le geometrie dei riflessi solari;
oscura e misteriosa di notte, nel buio
che cancella ogni forma,
esaltando il rumore dell’acqua che si infrange
contro le rocce,
emanando odore di alghe…
Immobile, nel grande silenzio interrotto da suoni diversi,
resto in ascolto e mi sembra che qualcuno mi parli (…)

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