Di Cristina Noacco
Il testo che segue presenta le linee guida sviluppate nel libro La forza del silenzio. Piccole note sul fruscio del mondo, Portogruaro, Ediciclo, «Piccola filosofia di viaggio», 2017.
Nella nostra società del rumore, la ricerca del silenzio è diventata per me un’esigenza, meglio: la mia aspirazione più grande.
Avevo nostalgia del silenzio, allora l’ho cercato nel mondo delle sensazioni, poi fra i sentimenti e nello spirito e ho potuto riconoscere tre modi di viverlo. Filtrando i rumori del paesaggio sonoro, ascoltiamo la musica naturale degli elementi o quella, strumentale, degli uomini; rinunciando al linguaggio verbale, possiamo comunicare diversamente, negare la comunicazione, oppure instaurare un dialogo intimo con l’altro attraverso la lettura, la scrittura e il ricordo. Ma esiste anche un silenzio interiore: è un’esperienza profonda, che ci permette di cogliere la natura più segreta e sacra del silenzio.
Il silenzio assoluto a scala umana non esiste. John Cage, che aveva voluto sperimentare il silenzio assoluto in una camera anecoica, diceva di aver percepito due suoni: uno acuto (il suo sistema nervoso) e l’altro grave (il battito del suo cuore). Il silenzio al quale aspiro, dunque, è una disposizione dello spirito ad ascoltare il fruscio del mondo.
È nella solitudine che il silenzio fa risuonare le corde più intime dello spirito. La solitudine ha due facce: una rode l’anima e la fa sembrare a una casa abbandonata, riempita dai rovi dei rimorsi e dalla morte; l’altra è la solitudine scelta, vissuta come un valore e una ricerca di armonia con il mondo. Il silenzio, in natura, è dunque la musica udibile degli elementi e la sensibilità della nostra comprensione aumenta se adattiamo la percezione a quella del respiro, dei fruscii o dei versi che ci circondano.
Il filosofo francese Alain Corbin dice che l’approccio che abbiamo del silenzio cambia in funzione della nostra cultura. In Asia, per esempio, dove si vive anche in sei nella stessa stanza, si può mangiare in silenzio senza che nessuno percepisca questa situazione come un vuoto di comunicazione. In Occidente, invece, durante un incontro conviviale il silenzio è inaccettabile, e noi ci affrettiamo a riempirlo con parole e considerazioni anche futili. La ricerca del silenzio è un ritorno all’essenziale, a una comunicazione dei gesti e del cuore. Nelle nostre relazioni affettive più intime, il silenzio completa il valore della parola, perché permette di capire, attraverso il non-detto, ciò che la lingua non può dire.
L’espressione dei sentimenti non ha bisogno di parole, le supera: due amici, due innamorati, una mamma e il suo bambino… si capiscono senza bisogno di parlare. Ma il dolore, la perdita e la solitudine possono rodere e distruggere il desiderio di comunicazione. Al silenzio che comprende tutte le parole si oppone il silenzio che le distrugge una a una.
La biblioteca è un luogo privilegiato. Circondati di lettori applicati, possiamo far tacere il brusio dei nostri pensieri e orientare l’attenzione verso una direzione seducente e feconda. Assorto nella lettura, ognuno vive nel mondo particolare di un autore: Chrétien de Troyes, Heidegger, Leopardi… Oïl, ja, sì…
E così come non c’è suono senza silenzio, non c’è parola senza silenzio. Il suono delle parole non è lo stesso senza il bianco che le separa, che le aspetta, che gli risponde. Gli arabeschi delle lettere giocano, saltano, rimano, si rincorrono, si moltiplicano in combinazioni infinite e sempre nuove. La poesia danza con il vuoto, gli fa fare una capriola e lo trasporta verso un’ombra di eternità. Procede dal silenzio e, quando si è espressa, ritorna al silenzio. Lo si avverte soprattutto nei componimenti brevi, come gli haiku, dove il silenzio diventa lo sfondo della poesia: lo spazio che circonda l’haiku è come il muro sul quale si appende un quadro. La poesia è un dipinto che ha bisogno di luce. E il silenzio, ovvero il bianco della pagina, è luce.
Il silenzio circonda e rischiara la parola. È anche un omaggio che la parola fa allo spirito.
Facciamo l’esperienza di questo tipo di silenzio quando ci disponiamo all’ascolto attraverso il cuore. Questo silenzio, interiore, può essere chiamato spirituale; nutre anche la creazione artistica, dal momento che permette all’artista di esprimere il suo mondo interiore e stimola il vagare verso il Vasto Dentro, la rêverie. Si entra allora in contatto con l’energia della vita. Trovo questo atteggiamento, del quale ognuno di noi può fare l’esperienza, molto vicino alle pratiche di meditazione dei mistici e, in generale, alle tradizioni spirituali.
C’è chi fa del silenzio un luogo di incontro con Dio. All’interno della Grande Chartreuse, vicino a Grenoble, in Francia, è vietato qualsiasi strumento e i certosini vivono nell’isolamento quasi completo delle loro celle. Per capire il senso di questa scelta dovremmo forse chiederci qual è il senso delle nostre scelte…
Ma esiste un’aspirazione ancora più grande: innalzarsi alla conoscenza del sacro. Introdotto dal silenzio materiale, poi dal silenzio spirituale, il silenzio mistico non è una conquista, né uno strumento, ma una disposizione del cuore ad accogliere l’immensità dell’Essere e a orientare la nostra coscienza verso il mistero. La vera preghiera è quella, silenziosa, del cuore ed è il denominatore comune a tutte le religioni. Ma l’uomo moderno ha perso il gusto per il mistero, che supera i nostri sensi, la nostra ragione e il nostro linguaggio, perché più ci si avvicina alla verità, più le parole mancano per dirla. Questo è il senso dell’ineffabile.
Ma questa carenza del linguaggio non riguarda forse anche il mistero della vita, della nostra vita e di tutto ciò che esiste? Possiamo spiegare il senso del più piccolo filo d’erba? Non cerco di provare l’esistenza di un principio metafisico con la vita (perché sono convinta che si tratti della stessa cosa), ma di interrogare il mistero del reale.
Attraverso la contemplazione, l’uomo interiore può entrare in comunicazione, meglio, in comunione con la presenza del reale e fare l’esperienza del sacro in ogni cosa. Sentirà allora la linfa che scorre nelle vene degli alberi, lo sforzo del germoglio che rompe il suo guscio al sole di marzo, il battito del cuore del passerotto che lascia il suo nido e impara a volare. Questa è la forza del silenzio: un dono che ci supera e ci unisce all’essenza di ogni essere.
Una formula quasi cartesiana sembra riassumere questa idea di unione con le diverse manifestazioni del reale grazie al silenzio: Sileo ergo sum. Faccio silenzio, rimango in silenzio e questo mi rende simile a tutto ciò che esiste, l’animato come l’inanimato.
Il silenzio è l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine di tutto e il tratto d’unione fra il materiale e lo spirituale. È il codice per comprendere il mistero del reale, un codice che è meglio mantenere segreto e intimo, per farlo risuonare in noi, nel fruscio del nostro passaggio.
Non sono allora i miei pensieri espressi che provano la forza del suo soffio inaudito, ma le parole che verranno, non ancora pronunciate, non concepite, immacolate. Nessuna formula potrebbe esprimerlo. Per questo taccio e lo ascolto.