DA DANDOLO – VIVARO di Franca Teja
Ma no, … Sono solo dei prati!
Cadeva nel giorno di Santa Caterina o giù di lì il viaggio che da Maniago la nostra molto green “Giardinetta” con profili in legno, ci avrebbe portato a Pozzuolo del Friuli, per festeggiare l’onomastico della nonna Caterina secondo la diffusa consuetudine che era più importante l’onomastico che il compleanno. La famosa Santa dava inoltre anche il nome ad una nota fiera udinese e dopo il “Mandi frute” della nonna che per me era più di un abbraccio, ci sarebbero state le giostre!
Dunque, lasciato l’abitato di Maniago iniziava l’attraversamento di una vasta estensione prativa, denominata non a caso Pradis poi, oltrepassati i paesi di Colle e di Sequals quella distesa ricompariva: un deserto di erbe color oro con perfino qualche “duna” che tanto ricordava il paesaggio marino visto d’estate. Dalla mia bocca allora uscì un: “Allora siamo arrivati a Lignano!” frase subito smentita da un “Ma no, … Sono solo dei prati!”
Li avrei rivisti più tardi, quei prati, nei loro abiti primaverili, seduta sulla canna della bicicletta (così i papà di una volta usavano portare in giro i figli) e, quando la “Botanica Sistematica” è entrata nel mio Piano di studi, ho imparato i nomi di quei fiori.
I magredi di Dandolo - Vivaro e la Campagna Ventunis
Campagna Ventunis detta anche Campagna di Maniago o più semplicemente Ventunis, era la vastissima prateria magredile che si estendeva su gran parte del conoide alluvionale alla sinistra del Cellina e che per consuetudine e regole antiche, risalenti anche a prima dell’epoca romana, era a disposizione quale pascolo e sfalcio di tutte le comunità ubicate nel territorio compreso fra il Meduna e il Cellina.
(Il piciul Tesis e la sua sorprendente storia di Armando D’Agnolo – Gruppo archeologico Cellina Meduna 2018).
L’origine della parola Ventunis è poco chiara, ma una delle possibili interpretazioni potrebbe essere la contrazione fra le due parole venetum saltus.
I seguenti due versi appartengono a un sonetto scritto nel VI secolo da Venanzio Fortunato di Ceneda (oggi Vittorio Veneto) e che descrivono il paesaggio da lui visto nell’attraversamento dei magredi durante il suo pellegrinaggio verso la Francia (!), (dove in seguito sarebbe diventato Vescovo di Poitiers), attraverso Pinzano, Ragogna, Osoppo, Zuglio e Passo di Monte Croce Carnico.
Hinc venetum saltus campestria perge per arva
submontana quidem castella per arva tenens
...di la’ prosegui attraverso le distese di campi verso le terre dei veneti seguendo ancora a piedi delle montagne la linea dei castelli fortificati
È così che Venanzio Fortunato aveva intrapreso il suo lungo viaggio (ma lo descrive come se lo facesse al contrario), sicuramente scegliendo la buona stagione che non poteva che essere la primavera, per via delle giornate più lunghe, scartando ovviamente i mesi invernali ma anche quelli estivi, che avrebbero comportato il rischio, sicuramente motivato, di non trovare alcun albero per ripararsi dalla canicola. Nel suo attraversamento delle praterie, supponiamo a fine aprile o ai primi di maggio, questo illustre pellegrino si sarà sicuramente imbattuto nelle abbondanti e variopinte fioriture di quei luoghi, ma lui, che pur era persona molto erudita, non si intendeva di piante, se non di quelle che facevano bene al corpo o di quelle invece da cui stare alla larga. Purtuttavia siamo convinti che nel suo latino aulico, Venanzio si lasciò sfuggire un “Ohibò che magnifiche fioriture!”. Di sicuro oggi potremmo in queste riconoscere il Citiso nelle sue due varianti cromatiche del giallo e del viola, il camedrio alpino, la vedovella celeste, la Dafne profumatissima e, se la primavera era stata precoce, sicuramente anche le numerose orchidee. Non avrebbe però scorto probabilmente quella pianta che oggi è un po’ il simbolo dei “prati magri” e cioè la Crambe Tataria. Questa sarebbe arrivata “appena” quattrocento anni dopo con le Vastata Hungarorum, le invasioni barbariche degli Ungari chiamati anche con un nome che evocava sinistri mondi infernali e cioè Tartari.
Ventunis, “il” Dandolo e “la” Tiepola
Pascolo e fienagione: il mondo è andato avanti così per anni e anni in quei territori, chiamati Beni Comunali, chi usufruiva di quelle terre doveva, come sempre succedeva, pagare una tassa in denaro ai Signori di Maniago, i quali, tra il 1634 e il 1761, posero in vendita questi terreni che vennero acquistati poi da un nobile veneziano Matia Dandolo e dalla famiglia Tiepolo. In tutti questi anni pascolo e fienagione si sono sempre praticati contribuendo al mantenimento dell’area a prateria anche per la difficoltà di attecchimento di specie arbustive e arboree.
Negli anni ‘30 del secolo appena trascorso si progettò un impianto di irrigazione e un riordino fondiario che divennero realtà subito dopo la seconda guerra con l’assegnazione dei poderi ai profughi istriani. Racconta uno di loro “Nel 1954 la mia famiglia arrivò da Trieste nella zona del Dandolo per prendere possesso della nuova casa in cui però ancora non funzionava l’impianto elettrico, ma i miei genitori erano contenti lo stesso perché sarebbe iniziata una nuova vita con bei pezzi di terra da coltivare e una stalla da governare. Ma le cose non stavano proprio come l’ingannevole propaganda del Governo italiano dipingeva. I campi fertili in territori vergini ancora da sfruttare nascondevano invece una realtà ben diversa: terreni sassosi che a dispetto dell’alta piovosità non trattenevano l’acqua ed erano quindi improduttivi. Se ne sarebbero accorti presto i miei genitori quando, come altri loro conterranei, memori delle abbondanti produzioni in terra istriana, crearono senza successo dei pescheti. Il giorno dopo il nostro arrivo era domenica e mio padre, da buon cristiano qual era, disse che bisognava andare a messa, si guarda in giro ma la chiesa non c’era proprio in quella specie di paese, in lontananza scorge però dei campanili, quello verso le montagne e uno giù verso la pianura. Ad occhio stima la distanza in circa 10 Km il primo, mentre quello in direzione est in circa 6 Km. Decise che questi non erano poi così tanti per raggiungere la chiesa, che poi scoprimmo essere quella di Arba, e così alla buon’ora tutta la famiglia si mise in cammino. Lungo una strada? Neanche per idea! Semplicemente la strada non esisteva ancora, solo un sentiero nella prateria! Avevo solo 6 anni e 6 erano stati i km all’andata e 6 al ritorno, la mia prima conoscenza di quei posti non è stata delle più felici!”
Però c’era chi sosteneva che :
...questa (la Campagna Ventunis) nei tempi di Aquilegia era tutta coltivata,
come dai molti vestigi si comprende, quantunque sia sterile più di ogni altra in Friuli dal che s’argomenta che all’hora questa Patria fosse stata habitata assai più che non vi è al presente…
Manoscritto della 'Patria del Friuli' (1568) di Jacopo Valvason di Maniago
“Chiudi la finestra ed aprite il vostro libro dell’Iliade!” parole pronunciate dalla prof. di Lettere nella classe seconda della Scuola Media di Maniago, nel 1963. Anche se fuori c’era il sole e la nostra testa era già nelle passeggiate che avremmo fatto al pomeriggio con i primi tepori primaverili, bisognava chiudere la finestra: ogni giorno infatti, circa a metà mattina a disturbare la lezione c’era il rombo dei motori degli aerei che, partiti dalla base USA di Aviano venivano nelle praterie del Dandolo a fare le loro esercitazioni, scaricando i proiettili contro dei vistosi bersagli.
Le praterie del demanio ospitavano infatti una base aeronautica e queste nude distese erano perfette per quel tipo di manovre. A partire dagli F86 superstiti della guerra di Corea, agli F100, ai piccoli G91, agli F104 regalati dagli americani perchè “cadevano spesso!” (anche sulle pendici del Monte Jouf, sopra Maniago), ai Phantom che facevano un terribile baccano. Gli A10 e gli F16 chiudono l’epoca del rombo quotidiano che ci avrebbe impedito di sapere come sarebbe finito il duello fra Ettore e Achille!
Nonostante l’uso improprio dal punto di vista ecologico, il territorio demaniale dei magredi del Dandolo è da allora rimasto, per fortuna, pressoché inalterato, potendo perciò affermare che in questo caso i militari hanno fatto, anche se inconsapevolmente, una vera e propria azione di tutela ambientale.
Forse le cose non sarebbero andate così se le aree non avessero goduto di questa, diciamo, speciale protezione e la minaccia di eventuali arature per scopi agricoli e di possibili espropri con conseguenti pericolose lottizzazioni, si sarebbe sicuramente materializzata.
Ma già da parecchi anni si è capita l’importanza di salvaguardare questo ambiente e molte sono state le azioni intraprese da Enti pubblici e Associazioni, con il suo inserimento nell’Elenco dei Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e contrassegnandolo come Zona di Protezione Speciale (ZPS). Si è inoltre da poco concluso un Progetto Regionale finanziato con fondi europei, il LIFE Magredi Grasslands che ha consentito di recuperare, in Friuli e in particolare nella zona di Dandolo– Vivaro, circa un centinaio di ettari attraverso l’eradicazione di specie alloctone e il reinserimento di essenze tipiche di quell’ambiente a salvaguardia dell'elevata biodiversità.
Piedi, bicicletta e cavallo sono i mezzi consigliati per intraprendere un singolare viaggio-natura in queste aree, attenzione però a non dimenticare la macchina fotografica!
Bibliografia
- Gli antichi luoghi del Molinat, la campagna Ventunis e il mito della città scomparsa nel maniaghese di Armando D’Agnolo e Elio Dusso Gruppo archeologico Cellina Meduna”Co. Giuseppe di Ragogna” 2012
- Magredi un territorio da scoprire a cura del WWF Edizione Biblioteca dell’immagine 2001
- Magredi di Pordenone Le ultime praterie Regione Autonoma FVG 2013